Un cuoco patriota trentino-vicentino portò 150 anni fa la pastasciutta in Giappone

Pietro Paolo Miola fu un garibaldino che combattè nella terza guerra d’indipendenza. Visse sicuramente a Venezia e a Vicenza. Viaggiò fino in Giappone, Paese nel quale portò per primo la pastasciutta (e molti altri prodotti) e aprì il primo ristorante italiano. Che esiste anche oggi. E’ un mito per i giapponesi, sconosciuto in Italia.

Si chiamava Pietro Paolo Miola. Visse fra il 1838 e il 1920. Nacque a Fiera di Primiero (esattamente in quella che oggi è la frazione di Pieve) e morì a Torino. Ma trascorse una decina d’anni a Venezia e almeno cinque a Vicenza. Ebbe un merito storico: portò la pastasciutta in Giappone. Più in generale, fu lui a introdurre la cucina italiana e molti prodotti europei, dal gelato allo spumante fino all’assenzio, nel lontano Paese dell’Asia.

L’unica immagine esistente di Pietro Paolo Miola in età matura: sono bene evidenti le due medaglie risorgimentali sul kimono che indossa

Miola fu prima di tutto un militare, un garibaldino che partecipò alla terza guerra d’indipendenza e fu anche decorato per gli eventi del 1866. Lo testimonia l’unica fotografia esistente, che lo ritrae con un kimono: nell’immagine porta con orgoglio sul petto le sue due medaglie che testimoniavano la partecipazione con le armi a quell’ideale che nell’Ottocento era molto sentito dagli italiani: l’unità del Paese. Una la meritò per la guerra d’Indipendenza, l’altra probabilmente gliela donò il re Vittorio Emanuele II, che insignì tutti i combattenti dopo la presa di Roma a memoria delle guerre sopportate.

I giapponesi sono molto interessati a Miola, tant’è vero che quindici anni fa la troupe di una tv giapponese sbarcò a Torino alla ricerca di sue notizie e di possibili discendenti. Dell’avvenimento s’interessò anche La Stampa, quotidiano di Torino, che testimoniò come i giapponesi si misero alla ricerca di ogni Miola citato dalla guida telefonica, senza però ottenere risultati, a quanto si sappia.

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Il prof. Masayoshi Ishida, preside del College of Gastronomy management dell’università Rutsumeikan a Kyoto

Miglior esito hanno avuto le ricerche del professor Masayoshi Ishida, preside del College of Gastronomy Management all’università Ritsumeikan di Kyoto, importante ateneo con 34mila studenti, metà di Padova. Il professore, che parla correntemente l’italiano, al nostro Paese ha dedicato molte energie e studi. E spesso viene in Italia, da Taranto e Napoli fino all’università di scienze gastronomiche di Pollenzo, per scambi di esperienze. Da alcuni anni si interessa a Miola, e pazientemente cerca di mettere insieme i tasselli del puzzle – assai incompleto finora – della sua vita, con l’obiettivo di scrivere un libro. Di recente il professore, con alcuni accompagnatori e studenti, è giunto in Italia: è stato a Bergamo, sulle tracce di Gino Veronelli, a Vicenza (accolti dal consorzio turistico Vicenza è) e a Fiera di Primiero, dove ha tenuto una conferenza su Miola.

Cosa si può sintetizzare della vita di questo vivace personaggio, più conosciuto in Giappone che da noi? Prima di tutto una certezza: era il quarto figlio dei sei che ebbero Domenico Miola e Caterina Dalla Torre, come testimoniano i documenti della diocesi di Trento: alla primogenita Margaritta (1834), seguirono Giovanni Pietro (1835) Angela Maria (1836) appunto Pietro Paolo (1838), quindi Maria (1843) e Giuliana (1844). I fratelli e soprattutto le sorelle sono importanti nella sua vita e vedremo perché.

Non va dimenticato che in quegli anni, cioé nella prima metà dell’Ottocento, Trentino e Veneto erano territorio dell’Austria, ma la famiglia Miola era assai italiana nell’animo. E Pietro era prima di tutto un patriota. Tant’è che si arruolò fra le camicie rosse e combattè per questo ideale. Chissà, magari avrà conosciuto di persona Garibaldi e avrebbe avuto anche l’età (22 anni, come Goffredo Mameli) per partecipare alla spedizione dei Mille. Ma è solo una fantasia, nei registri ufficiali – che riportano perfino le foto dei garibaldini della spedizione – di lui non c’è traccia.

C’è invece un riscontro nei libroni della Società Solferino e San Martino (che oggi fa parte del Museo del Risorgimento di Milano) che riportano il nome di Pietro Miola fra i militari della Terza Guerra d’Indipendenza, che si combattè soprattutto in Trentino e che ebbe nella battaglia di Bezzecca uno dei momenti più significativi. A ventotto anni, quando appunto Miola combattè con i garibaldini, a quel tempo si era uomini fatti e finiti, non giovanotti come adesso.

La storica immagine degli ambasciatori giapponesi all’Olimpico nel 1585, testimonianza di un legame tra Vicenza e il Giappone iniziato secoli fa, che si trova nell’anti odeo del teatro

Il professor Ishida ha anche le prove di una sua permanenza a Venezia durata dieci anni, evidentemente prima della spedizione militare. Lavorò nel capoluogo veneto e acquistò la qualifica di cameriere. Che sia stato in quel periodo anche a Vicenza è soltanto un’ipotesi senza certezze, al contrario di quanto accadrà più avanti quando la sua vita a Vicenza è ben documentata.

Cosa lo abbia spinto a partire dall’Italia e approdare in Giappone non è dato sapere. Desiderio di avventura? Incontenibile spirito imprenditoriale? Chissà. Non è vero che fu al seguito di un circo francese che partì dal Piemonte e arrivò in Giappone. In un circo lavorò – sostiene il professor Ishida – ma più avanti. Questo, comunque, è relativamente importante. Nel 1871 – quando l’Italia era ormai unita, la capitale era Roma e il Veneto da cinque anni era passato ai Savoia – Miola s’imbarcò su una nave militare a Genova e arrivò a Yokohama e Niigata.

In questa città a 320 chilometri da Tokio, che oggi lo Shinkansen brucia in un’ora e mezza per 66 euro, inizia l’avventura del Nostro in Giappone, Paese in cui restò 43 anni, dai 33 fino ai 76, quando tornò in Italia, appunto a Vicenza. Come sbarcare il lunario in Giappone? Mettendo a frutto quello che sapeva fare: cucinare, appunto. E oggi resta ancora una traccia, ben visibile, del miracolo che Pietro Miola creò in Giappone quando in Italia Edmondo De Amicis scriveva Cuore: a Niigita esiste ancora, infatti, l’hotel Italia Ken, oggi lussuoso punto di riferimento per gourmet e viaggiatori, al tempo umile trattoria nella quale Miola preparava la pasta al sugo. Che stupì a tal punto di giapponesi da farlo ricordare ancora oggi: nel sito dell’hotel Italia Ken – letteralmente tettoia italiana o riparo italiano costruito nel 1976 al posto della trattoria abbattuta – si legge la storia del cuoco triste che si avvicina negli aspetti essenziali alle ricerche del prof. Ishida ma diverge per molti altri tratti.

Il gruppo di giapponesi in contrà Cavour a Vicenza di fronte alla Basilica: il prof. Ishida è il primo a sinistra

Si parla di “un cuoco triste, taciturno e dalle orecchie a sventola”. Si ammalò, probabilmente di depressione, e “fu aiutato – sottolinea il racconto che è riprodotto da una mostra al secondo piano dell’hotel – da Gonsuke e da sua figlia Osui, inteneriti dall’uomo triste che non riusciva a comunicare con nessuno”.

“La storia di questo italiano arrivò fino all’orecchio del prefetto Kusumoto Masataka, che senza neanche pensarci, donò a Pietro 200 yen perché aprisse un ristorante.
Secondo il dottor Takeyama, che aveva in cura Pietro, fu la migliore medicina per farlo guarire”. “E così, vicino al fiume, si formavano lunghe code per assaggiare i piatti cucinati da quel personaggio arrivato da Occidente”. Il racconto prosegue con un altro accidente per l’emigrato italiano: il suo ristorante bruciò in un incendio e furono di nuovo i cittadini di Niigata ad aiutarlo a rimettersi in piedi.

Fin qui il racconto, probabilmente romanzato, che la tradizione giapponese tramanda. Fatto sta che Miola sposò Osui, la figlia di chi l’aveva aiutato. Può darsi che sia vero, può darsi che sia stato un rito scintoista non riconosciuto in Italia, può darsi che nel frattempo Osui sia morta, fatto sta che nel 1914 quando Miola rientrerà in Italia, appunto a Vicenza, nei documenti dell’ufficio di stato civile del municipio è scritto che era celibe.

Con le sue ricerche, il prof. Ishida ha accertato, peraltro, una notevole capacità imprenditoriale di Pietro Miola: al tempo, infatti, importò in Giappone oltre alla pastasciutta anche il gelato (Fiera di Primiero è al confine con Belluno, storica terra di gelatai da cui discende anche il vicentino Brustolon), l’assenzio, molto in voga in quegli anni di impressionisti, e lo spumante Asti.

Don Giuseppe Grazioli, trentino come Miola e in Giappone negli stessi suoi anni: salvò la bachicoltura italiana ed europea, distrutta dalla malattia, portando i bachi dal Giappone nascosti nel bastone da passeggio

C’è un’altra circostanza da sottolineare: più o meno contemporaneo a Miola, gira per il Giappone don Giuseppe Grazioli, trentino di Lavis, che salva la bachicoltura europea, colpita dalla pandemia, portando in Europa i bachi da seta dell’unico territorio al mondo rimasto immune dalla malattia: il Giappone, appunto. Naturalmente il trasporto è illegittimo e lui nasconde i bachi nel bastone sui sui si appoggia. La sua presenza è testimoniata a Yokohama, che è – guarda un po’ – la prima città toccata da Miola che poi si trasferisce a Niigata. Che i due si siano conosciuti è solo un’ipotesi purtroppo senza prove, ma è anche difficile che due italiani, per di più originari della stessa provincia, restassero ignoti l’uno all’altro in un Paese così lontano. Don Grazioli tornerà a casa nel 1875 e morirà nel 1891. Può essere stato quell’incontro una spinta per Miola, molti anni dopo, ormai vecchio ma non domo a tornare nel Veneto per tentare anche quella avventura? L’interrogativo è destinato a non avere una risposta: invece è una certezza che l’industria del baco da seta diventi molto diffusa nel Vicentino fino agli anni Sessanta del Novecento, con nomi importanti, come quelli di Marchi e Giacometti nella valle dell’Agno.

I documenti dell’ufficio di stato civile testimoniano che il 10 luglio 1914 Pietro Miola è a Vicenza. Sono settimane ad alta tensione in Europa: il 28 giugno è stato ucciso a Sarajevo l’erede al trono austro ungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando, ed esattamente un mese dopo, il 28 luglio, scoppierà la prima guerra mondiale con la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia.

Se il rasoio di Occam ha un senso – tradotto da Umberto Eco, suona così: la spiegazione più semplice è anche la più vicina al vero – probabilmente Pietro Miola è spinto a tornare in Italia perché la sorella Angela, di due anni più anziana di lui e che vive appunto a Vicenza, non sta bene. Morirà, infatti, il 29 novembre del 1914. Ma il Nostro vivrà per altri cinque anni a Vicenza: si trasferirà a Torino il 13 novembre 1919, quando l’altra sorella Giuliana, la più piccola dei sei fratelli – sempre secondo gli atti dell’ufficio di stato civile del municipio – viene a vivere a Vicenza mentre, contemporaneamente, lui si stabilisce a Torino, città in cui morirà nel 1920. Come sia vissuto per cinque anni a Vicenza, in che condizioni e con quali mezzi, resta un mistero. Così come non si conoscono i motivi del trasferimento reciproco dei due fratelli sull’asse Torino – Vicenza.

Fino a qui le certezze e le ipotesi sostenibili sulla biografia di un personaggio che è un mito in Giappone e che merita sicuramente, con un po’ di fortuna in ulteriori ricerche, maggiore attenzione in Italia.

Antonio Di Lorenzo