Immaginateli come I guardiani della galassia, quella gastronomica s’intende. Oppure come Capitan America, che nella versione baccalifera ha un piatto al posto dello scudo. E il piatto ad hoc, nel senso di stoviglia, l’hanno appena inventato con il marchio d’autenticità sul bordo. Ma il significato è lo stesso dell’eroe Marvel: diventare paladini se non dell’America almeno dell’originalità del cibo.
I venerabili confratelli ricordano i celebri Guardiani della galassia: quella gastronomica vicentina, però
O, altrimenti, pensateli a sezionare il gaddus morhua come fossero nel laboratorio di Bones al Jeffersonian. La presidente Tiziana Agostini starebbe bene nei panni di Temperance Bones Brennan perché ha lo stesso piglio, e il vicepresidente Antonio Chemello starebbe bene in quelli dell’agente speciale Seeley Booth dell’Fbi: il fisico c’è, l’età è quasi la stessa.
Temperance “Bones” Brennan e l’agente Fbi Seeley Booth del serial: con lo stesso cipiglio scientifico i venerabili confratelli sezionano la qualità dei piatti di baccalà alla vicentina
Insomma, i venerabili confratelli scendono in campo agguerriti per difendere l’identità del piatto vicentino per antonomasia, del quale custodiscono la ricetta originale. Ce n’è bisogno? A loro dire, sì, e parecchio. Chemello parla senza remore del “baccalà inquinato da altri pesci”, che si trova soprattutto nella Gdo, vale a dire la grande distribuzione, quella dei supermercati – ipermercati che spuntano come funghi. Solo a Vicenza città licenze commerciali di questo tipo ce ne sono 150 e passa. “C’è troppo baccalà non coerente – spiega Chemello con eleganza – ma intanto lo chiamano così, alla vicentina”. Questione di marketing. Ma non perdonabile secondo i venerabili.
Eppure è facile distinguerlo. Spiega Agostini con un esempio olfattivo: “Il baccalà sa da suo, quello non originale sa da freschin“. Metafora che è particolarmente azzeccata in fatto di mescolanze, perché come ricorda una celebre canzone dell’Anonima Magnagati “a voler saver de tutto xè destin, se sa anca da freschin”. E, appunto, nel baccalà non originale c’è di tutto.
Il piatto creato dalla Confraternita che è a disposizione dei ristoratori benedetti dalla Venerabile per garantire l’identità del piatto
Guai a mescolare, dunque. I venerabili hanno già preso le misure: a un ristorante dei quasi 30 che sono segnalati dalla Confraternita nel Vicentino è stata tolta la targa di autenticità del piatto. Che è come togliere l’abito sacerdotale a un prete. Un bel semaforo rosso accesso, ma è stata una decisione estrema: “In trentacinque anni – ammorbidisce l’ex presidente Luciano Righi – saranno stati quattro o cinque i ristoranti cui è stata tolta la targa”. Sarà, però è successo. Va ricordato che oggi sono 27 i ristoranti del bacalà (loro ci tengono a una “c” sola quando parlano del piatto vicentino) e 11 in Italia sono benedetti dalla Confraternita fondata da Michele Benetazzo nel 1987.
Antonio Chemello, del ristorante Palmerino di Sandrigo: profeta del baccalà
Per altri locali si sono accesi semafori gialli: “Consigliamo, correggiamo, spieghiamo quello che non va – sottolinea la presidente, che vuole allontanare lo spettro dell’Inquisizione e indossare i panni più confortanti del confessore comprensivo – Anche se è vero che sta venendo meno la conoscenza e la competenza riguardo al piatto”. Agostini parla dell’immaginazione che manca tra i cuochi e conclude che “ormai il baccalà è un prodotto di lusso, perciò bisogna avvicinarsi al piatto con una coscienza consapevole”.
I confratelli, tra cui il cuoco Claudio Ballardin, Luciano Righi, Carlo Pepe, Mauro Passarin, e i vertici di Confcommercio, con il presidente Piccolo e il direttore Boschiero. In alto a sinistra Olaf Pedersen, marketing manager dalle Lofoten
In altre parole, è inutile per ristoratori e gourmet giocare la carta del prezzo basso. Olaf Pedersen, marketing manager Tørrifisk delle Lofoten, spiega che dalle isole norvegesi oltre il circolo polare artico il 75% del prodotto arriva in Italia, esattamente 1907 tonnellate, delle quali gran parte nel Veneto. Soffrono anche loro di molti guai: il cambiamento climatico che riscalda anche la corrente del Golfo, le quote di pesce che vengono ridotte, l’economia che boccheggia e porta anche al fallimento di qualche azienda. Il risultato – ma lui non lo cita – è che ormai il prezzo di un chilogrammo di stoccafisso autentico (che è una piccola parte del merluzzo che viene commercializzato) è arrivato a 40-50 euro.
Che fare? La risposta è nel motto che Galliano Rosset, priore della Confraternita, ha adottato da sempre: “Difendere e diffondere”. Un impegno che vede schierata la Venerabile e la Confcommercio, che si concretizza in alcune idee sulle quali torneremo presto.
Antonio Di Lorenzo