La vittoria per Kamala Harris arriverà se vincerà in tre Stati: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin. Se perde anche solo in uno di questi tutto diventerà molto più difficile, forse impossibile. I tre Stati del Nord, che fanno parte dei sette Swing States, cioé gli Stati in bilico che decideranno le elezioni presidenziali Usa, hanno infatti un comportamento elettorale del tutto simile, come hanno provato le elezioni passate: sia Biden nel 2020 che Trump nel 2016 hanno vinto per l’1 per cento o anche meno.
Giovanni Diamanti, Marilisa Palumbo e Martina Carone: i tre studiosi hanno animato il dibattito di “Beyond” sulle elezioni americane
È questo uno degli stimoli giunti dal dibattitto con il quale l’agenzia Beyond (spin off di altre due agenzie, Youtrend e Off) ha inaugurato la sua presenza a Vicenza. Beyond vuole caratterizzarsi per la cura degli uffici stampa, a differenza di Youtrend di Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco, noti ormai a livello nazionale per i sondaggi politici, e di Off, specializzata in marketing, comunicazione ed eventi.
Con Diamanti e Martina Carone, ricercatrice e docente universitaria, di elezioni americane ha discusso Marilisa Palumbo, 44 anni, caporedattrice esteri del Corriere della Sera, un’autorità in materia, perché la politica americana la vive da sempre: ricorda di aver seguito la prima elezione Usa a 13 anni, quando il papà le permise nel 1992 di seguire fino alle tre di mattina lo spoglio per l’elezione di Bill Clinton.
Kamala Harris e Donald Trump: sarà un duello all’ultimo voto
I tre studiosi che hanno animato il dibattito convergono su un punto: Trump è favorito, ma Harris in 100 giorni non poteva fare di più. Il Paese è spaccato: gli uomini sono in maggioranza per l’ex presidente, invece sono le donne a sostenere Kamala Harris. Il New York Times la definisce The gender election e basta questo titolo a fotografare la situazione. In molti bagni dei locali pubblici sono affissi cartelli che invitano le donne a votare: si punta far breccia nell’elettorato femminile repubblicano. Dal canto suo, The Washington Post non s’è esposto con il suo consueto endorsement, tradizionalmente favorevole ai democratici: ha perso 200 mila abbonamenti in una settimana.
Saranno 150 milioni gli americani che andranno al voto, ma l’elezione si giocherà su poche decine di migliaia di persone. Su 50 Stati, i due candidati ne hanno ignorati totalmente 40: si sono concentrati su 10, e sette di questi sono in bilico, cioé decisivi. Contando i grandi elettori, Harris ne ha sicuri 226, Trump 219: 93 sono incerti. Il numero magico, che garantisce l’elezione, è 270 grandi elettori. Vincendo in Wisconsin, Pennsylvania e Michigan Harris diventerà presidente. Gli Stati per lei più difficili da conquistare sono Nevada, North Carolina, Georgia e Arizona. Tutti gli altri sono praticamente sicuri per l’uno o l’altro candidato.
I punti di forza di Trump sono economia e migranti, temi nei quali i sondaggi lo premiano nettamente. Non solo: secondo un altro sondaggio, la politica economica di Biden è bocciata dalla maggioranza degli americani. Il che può apparire un controsenso, visto che gli indici economici sono tutti in crescita. Ma è anche vero che i prezzi sono aumentati, e questo diventa decisivo nell’orientamento popolare. Per la prima volta, inoltre, si esprime a favore dei Repubblicani anche l’elettorato arabo.
Contano i big mediatici per condizionare l’orientamento elettorale? Sì e no. Elon Musk, forse il vice presidente reale di Trump, premia con denaro chi si iscrive al voto (com’è noto, negli Usa per votare bisogna iscriversi alle liste elettorali, non è come in Italia) e mette in palio ogni giorno un milione di dollari per chi si iscrive. Ma c’è già un’inchiesta federale per corruzione. Secondo Marilisa Palumbo, un’apparizione di Springsteen in campagna elettorale conta meno di Taylor Swift, che può motivare non solo le donazioni ma anche i giovani ad andare al voto. Perché la sfida è tutta sulla percentuale dei votanti da far crescere.
Antonio Di Lorenzo